Sunday 31 March 2013

LEON DEGRELLE / MILITIA

Léon Joseph Marie Ignace Degrelle (Bouillon, 15 Giugno 1906 – Málaga, 31 Marzo 1994).

Militia : Raccolte in questo volume (giunto alla quarta edizione italiana), le parole di passione del Comandante della 28° SS Freiwillige Panzergrenadier Division “Vallonie”, Léon Degrelle, che qui rievoca i momenti più sapidi della sua esistenza, sono un esercizio letterario di assoluta grazia. Parole potenti e “piene di dolcezza”, descrizioni e meditazioni “che ardono”, Militia fa pensare, a tratti, a un Proust meno snervato, capace dell'incanto dell'evocazione ma pure dell'eroismo della pratica di vita. Di Léon Degrelle, il volume comprende pure lo scritto La nostra Europa, che rievoca con generosità di accenti la Sehnsucht dell’Ordine Nuovo Europeo, generata da esperienze e illuminata da visioni estranee alle pratiche e alle vedute dell’Europa odierna, guastata dalla infezione occidentalista.
Scritto principalmente durante la guerra, mentre Degrelle combatteva in russia, nei rari momenti in cui poteva permettersi di scrivere, con fogli sparsi e rimessi insieme successivamente, memorie, che hanno dato vita al "corpo" di questo libro. Il fuoco, invece, ha fiamme diverse: si alza, si abbassa, rinasce, si avventa. Questo libro è di fuoco, con le esaltazioni del fuoco, gli eccessi del fuoco. Se almeno potessero trovare vicino a lui conforto e vigore, come li si trova nel meditare alla sera, presso ad un gran fuoco di legna quasi silenzioso. Le vibrazioni della sua vita potente penetrano; e si irradiano; e si raccolgono. Esse si offrono completamente, si abbandonano totalmente. Il dono, il vero dono è così: L'annientarsi sino all'ultima favilla. Qui, nel mio caso particolare, si tratta soltanto di un fuoco morto. La mia vita si è schiantata in abissi è stata sommersa dalle onde di fondo che hanno ricoperto tutto. Ma io voglio credere, malgrado tutto, che queste tensioni animarono le azioni di un uomo già morto agli occhi della maggioranza degli uomini - pur quando egli ha la disgrazia di vivere ancora per sè - potranno ancora raggiungere spiritualmente, qua e là nel mondo, dei cuori ansiosi..
Ricordo tre parole che un giorno avevo decifrato su una tomba di marmo nero giù a Damme in Fiandra, dentro una chiesa della mia patria perduta: ETSI MORTUUS URIT.. "Seppur morto, egli arde..". Possano queste pagine, ultimo fuoco di quel che io fui, ardere ancora un momento, riscaldare ancora un istante le anime possedute dalla passione di donarsi e di credere: Di credere malgrado tutto, malgrado la disinvoltura dei corrotti e dei cinici, malgrado il triste gusto amaro che ci lasciano nell'anima il ricordo delle nostre colpe, la coscienza della nostra miseria e l'immenso campo di rovine morali di un mondo che, sicuro di non aver più bisogno di salvezza, da questo trae motivi di gloria, ma deve lo stesso essere salvato. Deve più che mai essere salvato. La felicità addormenta l'ideale. Niente lo risveglia meglio che la sferza della vita dura: Essa ci permette di cogliere la profondità dei doveri da compiere, della missione di cui occorre essere degni.
Il resto non conta, la salute non ha alcuna importanza. Non si è sulla terra per mangiare in orario, dormire a tempo opportuno, vivere cent'anni o oltre.
Tutto questo è vano e sciocco. Una sola cosa conta: Avere una vita valida, affinare la propria anima, aver cura di essa in ogni momento, sorvegliarne le debolezze ed esaltarne le tensioni, servire gli altri, spargere attorno a sè felicità e affetto, offrire il braccio al prossimo per elevarsi tutti aiutandosi l'un l'altro. Compiuti questi doveri che significato ha morire a trenta o a cento anni, sentir battere la febbre nelle ore in cui la bestia umana urla allo stremo degli sforzi?
Che si rialzi! Malgrado tutto! Essa è là per donare la sua forza sino al logoramento. L'anima sola conta e deve dominare tutto il resto. Breve o lunga, la vita vale soltanto se noi non avremo da vergognarcene nel momento in cui occorrerà renderla. Noi i moderni spaesati, trascinati d'appartamento in appartamento nelle città dagli occhi vuoti, ci sentiamo strappare il cuore un pò di più, ogni volta che dobbiamo varcare una nuova soglia, illuminare i corridoi troppo bianchi, abituarci alle maniglie, a imposte, a porte che non reggono, a gas che arde troppo in fretta, ad autobus che passano come un ululato brutale da spezzare l'anima. Si sta zitti, ma non si dimentica nulla, e l'uomo immobile come la vecchia cassapanca e il grande orologio, guarda e vede..
La casa natale, dove si è cresciuti.
Casa di un tempo, con i tuoi poveri "certonnes" il tuo cattivo gusto, quel pomo della ringhiera delle scale, le foto di bambini in fila indiana, il pesante pianoforte, il focolare nero, la bagnarola di stagno in cui si entrava uno dopo l'altro, quei passi di cui si ode il suono vent'anni più tardi solo a ricordarsene, quei respiri che sentono alitare di nuovo davanti a sè, il viso di mamma che si rianima in lontananza e che poi è là, davanti agli occhi, quasi impenetrabile e tale da renderti improvvisamente tanto bambino da voler essere accarezzato di nuovo.
Il denaro, gli onori, i corpi sciupati, l'avidità nel carpire una felicità terrena che sfugge di mano e sempre si sottrae, hanno reso il gregge umano un'orda miserabile, che si avventa, si sbrana, per trovare liberazioni inesistenti. Calca, dove le risa suonano false, per ricordarci che non si tratta di branchi di animali ma di uomini. Questo scalpiccio di dannati ha colpito prima gli individui poi i popoli. Non si tratta più di un girotondo di isolati, morsi dalle passioni e dai vizi. Sono le collettività a venir aspirate dal vortice dei desideri impossibili: Desiderio di possedere, cioè di prendere, desiderio di essere il primo, cioè di colpire, desiderio di fondare la propria potenza sulla materia, cioè di soffocare ed eliminare lo spirituale, mediante sforzi tanto più inutili in quanto l'umano si scioglie nella stretta spirituale che sempre risorge, come un rimprovero, o come una maledizione.
L'abiezione ha superato le cerchie elevate delle "elites" per guadagnare le vaste cerchie delle masse, raggiunte anch'esse, questa volta, dalle onde propagate all'infinito dall'invidia, dall'ambizione, dagli pseudo-piaceri che sono soltanto caricature della gioia.

L'acqua limpida dei cuori si è intorbidita sino agli strati più profondi. Il fiume degli uomini trasporta un diffuso odore di fango, il disordine del secolo ha sconvolto tutto quel che un tempo era luce e voli a tuffo di rondini. Gli uomini e i popoli si guardano dall'alto in basso, l'occhio violento, le mani segnate da marchi infamanti e dai morsi che hanno lasciato prede ardenti e rapidamente invilite. Ogni giorno il mondo è più egoista e più brutale. Il sole è calato. Nello spazio di mezz'ora sarà buio, gli uccelli lo annunciano, mentre cantano appassionatamente nei giardini. Dovunque vi sono rose, talmente empite di luce che stanno per morire. Il bosco intorno a qualche tetto di tegole, già dorme. E sempre gli uccelli ricominciano a lanciare i loro gridi acuti e le loro implorazioni, certo per i due innamorati seduti laggiù sognanti, con un cappello bianco immenso sulle ginocchia. Chi vive ancora a parte questi uccelli, quel cane che abbaia in capo al mondo, e questi due cuori che battono nella quiete della sera, carica delle vibrazioni di giugno? Come credere all'odio? Gli uomini non hanno mai guardato le ultime rose spegnersi nel silenzio di una sera?. Morire vent'anni prima o vent'anni dopo poco importa, quel che importa è morir bene, soltanto allora inizia la vita.
Semplice soldato, io posso morire domani, l'umiltà della mia sorte nella vita del fronte mi prepara meglio a una tale conclusione, non essendo vissuto come un santo vorrei morire con l'anima più possibile "in ordine". Ho forse i giorni contati? Occorre quindi moltiplicare le occasioni per purificarsi. Un tempo avevo vagheggiato una lunga malattia per prepararmi alla morte, ma ciò sarebbe avvenuto in un'atmosfera di consunzione. Qui, invece, è nella potenza, nella pienezza della volontà che viene offerta la mia preparazione.
Mi rendo conto della mia possibilità, ritornerò forse vivo, più vivo di prima? In ogni modo, questa grande ritirata che la vita o la morte chiuderà, sarà una benedizione. Io ne godo liberamente, con pienezza, come un sole sostentatore magnifico. Perchè dovrei tremare sotto i suoi fuochi? L'eroismo sta nel rimanere in piedi, lottare, l'essere sempre vigili gioiosi e forti, nelle miserie senza nome e senza storia del fronte, in mezzo al fango, agli escrementi ed ai cadaveri, all'aria pesante di acqua e neve, ai campi sterminati ed incolori, all'assenza totale di gioia esteriore.

Guerra non significa solo combattimento, significa anche una lunga serie, a volte massacrante, a volte spossante, di rinunce silenziose, di sacrifici quotidiani privi di importanza. Dunque la virtù si forgia nel medesimo modo.
Le privazioni, l'attesa umile e sterile di fronte alla morte, il servizio durante il quale, lontano da ogni clamore, si gioca la vita in mezzo ai campi e boschi sconosciuti, l'inerzia al di fuori di questa gioia umana: Questa è la vera guerra, quella che fanno milioni di uomini che non conosceranno mai la gloria strepitosa e che, se non moriranno, torneranno nei loro paesi, col volto chiuso, le labbra serrate, perchè non verrebbe compreso di quanti strazi e di quante rinunzie si sia composto il loro oscuro eroismo.
Il fondo del cuore è un tale abisso di desideri, di rimpianti, di sconforti, che si preferisce non toccarlo. E' più semplice più gradevole attenersi all'apparenza delle cose, e senza pensar troppo, godere delle parole e dei contegni che tessono il paravento del dramma umano. Siamo noi, noi soldati, dietro quel paravento. Quali anime immagineranno il nostro cammino e avranno la forza di raggiungerci spiritualmente?. Ma la poesia è dovunque, davanti ai nostri fucili, migliaia di passeri saltellano fra le siepi, scotendo con garbo la loro rotonda pancetta, ascoltano a un metro di distanza i nostri complimenti coi quali cerchiamo di gingillarci con loro. Poi si annidano, a buffe frotte, in mezzo ai giunchi. Vi sono anche i corvi che passano, come neri lampi, poco numerosi e muti: Di tanto in tanto ci lanciano il loro alto grido rauco, per ricordare che la morte ci attende al varco, severa come loro, vorace come loro, con l'ala oscura e tagliente.
Noi ci sforziamo di sorridere sempre, ai passeri che cantano, ai corvi solenni che passano. Ma il cuore è il cuore e, dietro al sorriso delle labbra e degli occhi, possiede i suoi poveri, balordi, segreti di bestia sofferente. Da qualsiasi parte ci si sente spiati dalla morte, ogni passo ha un costo, passo pesante che occorre rendere leggero, malgrado la mitragliatrice che pesa, i piedi che vacillano, le zone fradicie di terreno in cui si sguazza, le grandi buche in cui si cade senza una parola. Fa tanto freddo che i farmaci scoppiano, anche l'alcool è gelato nei flaconi dell'ambulanza. Poveri piedi, poveri orecchi, poveri nasi bianchi e mummificati nelle notti atroci, urlanti, fischianti.. Stamattina è giunto l'ordine di partire per un altro settore del fronte, andremo dove ci verrà detto di andare, sorridenti nella neve che, dal nostro risveglio, cade a grosse e lente falde. I nostri piedi saranno assiderati, le labbra screpolate, i corpi, piegati per sentire meno freddo, pesanti e goffi, ma il fuoco interiore continuerà a salire dando ai nostri occhi i bagliori del sole.


In fondo, tu sei tanto felice.
Tu sai che là risiede la sola felicità.
Canta!
Tuoni la tua voce nelle valli!
Rimpianti e lacrime? Ma è la parte più mediocre di te che ha sofferto: 
Quella che hai appena respinto!
Il più duro è superato, resisti!
Stringi i denti.
Fa tacere il cuore.
Pensa soltanto alla vetta!
Sali!